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ToggleImmagina di essere al supermercato, di fronte a due prodotti simili. Uno vanta una confezione verdeggiante con la scritta “eco-friendly”, l’altro no.
Quale sceglieresti?
Fino a poco tempo fa, la scelta sarebbe stata difficile. Le normative contro i green claims ed il greenwashing, come la Direttiva sulle Pratiche Commerciali Sleali (la “UCPD”) del 2005 e la Direttiva sui Diritti dei Consumatori Online (la “CRD”) del 2011, erano generiche e difficili da applicare. Le aziende potevano facilmente spacciare prodotti per “ecologici” o “migliori” senza prove reali.
L’aumento della sensibilità verso le tematiche ambientali ha portato ad un proliferare di affermazioni ambientali (green claims) da parte delle aziende interessate ad attirare questa categoria di nuovi consumatori. Tuttavia, non tutte queste affermazioni erano accurate o veritiere, creando confusione tra i consumatori e danneggiando l’ambiente. La prima normativa a livello europeo che ha tentato di trattare questo argomento è stata la Direttiva sulle Pratiche Commerciali Sleali (2005/29/CE). Venivano vietale le informazioni false ed ingannevoli, tuttavia, mancava di specificità e di criteri oggettivi per la valutazione delle affermazioni ambientali incontrando molta difficoltà di applicazione e limitata efficacia.
La seconda Direttiva sui diritti dei consumatori (2011/83/UE) si concentra sui diritti dei consumatori digitali. Uno degli elementi fondamentali di questa direttiva è l’accento posto sull’informazione chiara e trasparente. Prima di effettuare un acquisto, i consumatori hanno il diritto di essere informati in modo completo e comprensibile sui prodotti o servizi che stanno per acquistare. Questo aiuta a evitare situazioni in cui i consumatori si trovano a fare scelte non informate o addirittura ingannati da informazioni fuorvianti. Tuttavia, nonostante i suoi intenti positivi, la direttiva ha affrontato diverse sfide nella sua applicazione pratica. Una delle principali difficoltà riguarda l’applicazione coerente e uniforme delle regole nei vari Stati membri dell’Unione Europea. Le differenze culturali, linguistiche e giuridiche tra i paesi possono rendere complesso garantire una piena conformità e un’applicazione efficace della direttiva. Nasce quindi l’esigenza di un normativa molto più specifica per contrastare efficacemente il greenwashing e fornire una maggiore tutela dei consumatori.
Esisteva il bisogno di armonizzare le normative a livello europeo per facilitare il lavoro delle aziende e la comparabilità dei prodotti. In questo contesto nasce la nuova direttiva contro il greenwashing che oltre ad introdurre tutta una serie di nuovi concetti agisce anche dello specifico andando a modificare ampliare alcuni degli articoli delle due precedenti direttive.
Nuovi concetti introdotti dalla Direttiva 2024/825
Vengono introdotte nuove indicazioni per migliorare l’etichettatura e la durabilità dei prodotti, con l’obiettivo di porre fine alle dichiarazioni ingannevoli sull’ambiente e guidare i consumatori verso scelte più sostenibili. Questa direttiva vieta l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente” o “naturale” senza prove dettagliate e bandisce le dichiarazioni basate solo su compensazioni delle emissioni di carbonio. La direttiva mira a promuovere la trasparenza e la responsabilità dei produttori lungo l’intera catena del valore dei prodotti.
Uno dei concetti chiave è l’obsolescenza programmata. La direttiva la definisce come la “pratica di progettazione, produzione o commercializzazione di un bene che mira a ridurne la vita utile al fine di aumentare le vendite di beni o componenti sostitutivi”. Tale pratica viene vietata, in quanto lede i diritti dei consumatori e ha un impatto negativo sull’ambiente.
Un altro concetto importante è quello di pratiche commerciali sleali. La direttiva amplia la nozione di tali pratiche per includere quelle che impediscono ai consumatori di fare scelte di consumo sostenibili. Ad esempio, sono vietate le “asserzioni ambientali ingannevoli” (“greenwashing”) e le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese.
La direttiva introduce anche requisiti di trasparenza per i marchi di sostenibilità. Questi requisiti mirano a garantire che i marchi siano affidabili e non fuorvianti, in modo che i consumatori possano fare scelte consapevoli.
Inoltre, la direttiva rafforza il diritto dei consumatori di riparare i beni durevoli. Essa introduce obblighi per i produttori di fornire informazioni, pezzi di ricambio e strumenti di riparazione. Questo contribuirà a ridurre i rifiuti e a promuovere un’economia circolare.
Pratiche commerciali sleali contrastate dalla Direttiva 2024/825
Secondo la proposta, le aziende che intendono fare dichiarazioni ambientali sui loro prodotti o servizi dovranno seguire regole minime riguardanti la verifica e la comunicazione di tali affermazioni. La proposta mira ad affrontare le dichiarazioni esplicite, come “T-shirt realizzata con bottiglie di plastica riciclata”, “erogazione compensata in termini di CO2”, “imballaggio realizzato con il 30% di plastica riciclata” o “crema solare rispettosa dell’oceano”. Inoltre, cerca di gestire la crescente presenza di etichette e nuove marche ambientali sia pubbliche che private.
Queste regole coprono tutte le dichiarazioni volontarie riguardanti gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali di un prodotto, servizio o dell’azienda stessa. Tuttavia, escludono le indicazioni già regolamentate dalle norme dell’UE esistenti, come l’Ecolabel UE o il logo degli alimenti biologici, poiché queste norme garantiscono già l’affidabilità delle affermazioni regolamentate. Le richieste che saranno coperte dalle future normative dell’UE saranno escluse per lo stesso motivo.
Prima di comunicare ai consumatori qualsiasi tipo di “dichiarazione verde” coperta dalla proposta, queste dovranno essere verificate in modo indipendente e supportate da prove scientifiche. Le aziende, nell’ambito di un’analisi scientifica, identificheranno gli impatti ambientali effettivamente rilevanti per il loro prodotto e individueranno eventuali compromessi, al fine di fornire un quadro completo e accurato.
In sintesi, la Direttiva Europea 2024/825 si propone di proteggere i consumatori da pratiche commerciali sleali come il greenwashing, la manipolazione dei bambini e la mancanza di trasparenza nelle informazioni fornite dalle imprese.
- Greenwashing: la direttiva si concentra sul contrasto del greenwashing, vietando l’uso di indicazioni ambientali generiche senza prove dettagliate e bandendo le dichiarazioni basate solo su compensazioni delle emissioni di carbonio.
- Manipolazione dei bambini: la direttiva vieta ai venditori di indurre i bambini a chiedere l’acquisto di prodotti, vietando appelli diretti del tipo “Compra il libro ora” o “Chiedi ai tuoi genitori di comprarti questo gioco”.
- Caratteristiche di progettazione non trasparenti: la normativa europea richiede che le imprese forniscono informazioni precise e comprensibili sui beni e servizi offerti per consentire ai consumatori di prendere decisioni informate.
Conseguenze per le aziende che non rispettano la direttiva europea 2024/825
Le aziende che non rispettano la Direttiva Europea 2024/825 possono affrontare diverse conseguenze, tra cui:
Sanzioni finanziarie: le imprese che violano la direttiva possono essere soggette a sanzioni finanziarie significative, commisurate alla gravità della violazione.
Perdita di reputazione: il greenwashing e altre pratiche commerciali sleali possono danneggiare gravemente l’immagine e la reputazione di un’azienda agli occhi dei consumatori e dell’opinione pubblica
Possibili azioni legali: le imprese che non rispettano le disposizioni della direttiva potrebbero essere soggette a azioni legali da parte delle autorità competenti o dei consumatori danneggiati.
In sintesi, le conseguenze per le aziende che non rispettano la Direttiva Europea 2024/825 includono sanzioni finanziarie, perdita di reputazione e possibili azioni legali che possono avere impatti significativi sulle attività e sull’immagine dell’impresa.
Ulteriori inclusioni di pratiche commerciali ritenute sleali in qualsiasi contesto, come descritto nell’Allegato I
L’Allegato I della Direttiva 2005/29/CE viene esteso per comprendere ulteriori pratiche commerciali sleali che non solo coinvolgono gli aspetti ambientali, ma anche la durabilità e l’obsolescenza dei prodotti
- Presentare i requisiti legali su tutti i prodotti all’interno della categoria di prodotto rilevante come vantaggio distintivo dell’offerta del commerciante.
- Non divulgare al consumatore che un aggiornamento del software potrebbe influenzare negativamente il funzionamento dei beni digitali o l’utilizzo di contenuti o servizi digitali.
- Etichettare un aggiornamento software come necessario quando in realtà migliora solo le funzionalità.
- Fare comunicazioni commerciali su beni che includono caratteristiche progettate per limitare la loro durabilità, nonostante il commerciante abbia informazioni sulla caratteristica e sui suoi effetti disponibili.
- Falsamente affermare che un bene abbia una certa durabilità in termini di tempo o intensità di utilizzo in condizioni normali.
- Promuovere un bene come riparabile quando non lo è effettivamente.
- Incoraggiare il consumatore a sostituire o rifornire i materiali di consumo di un bene prima del necessario per motivi tecnici.
- Omettere di informare il consumatore sul deterioramento della funzionalità del bene quando vengono utilizzati materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale, oppure affermare erroneamente che tale deterioramento non si verificherà.
Adottando queste misure, le aziende possono ridurre il rischio di sanzioni e conformarsi alle disposizioni della direttiva per una condotta commerciale etica e trasparente.
In relazione alla Direttiva sulle Affermazioni Ambientali – Greenclaims
La Direttiva è progettata per operare in armonia con la Proposta di Direttiva sui Green Claims, che stabilisce requisiti specifici per la presentazione di dichiarazioni ambientali. Secondo il memorandum esplicativo della proposta di Direttiva Green Claims, essa deve essere considerata lex specialis rispetto alla direttiva sul conferimento dei poteri ai consumatori per la transizione verde, fornendo una migliore protezione contro le pratiche sleali e una maggiore informazione. Inoltre, la proposta svolge un ruolo di ausilio interpretativo per la direttiva.
Uno studio della Commissione europea del 2020 ha rivelato la presenza di 230 etichette di sostenibilità e 100 etichette di energia verde nell’UE, con livelli di trasparenza variegati. Il 40% delle dichiarazioni ecologiche avanzate dalle aziende risultava “completamente infondate”, mentre il 53% era considerato “vago, fuorviante o infondato”.
Secondo la proposta di Direttiva Green Claims, le dichiarazioni ambientali saranno soggette a una revisione da parte di verificatori indipendenti, che rilasceranno un certificato di conformità dopo aver valutato la conformità ai requisiti stabiliti nella proposta, comprese le informazioni scientifiche o tecniche sulla sostenibilità dei prodotti. Queste informazioni, insieme al certificato di conformità, dovranno essere rese disponibili ai consumatori.
Le sanzioni previste dalla proposta di Direttiva Green Claims sono estese e specificate per includere l’esclusione dagli appalti, la confisca dei ricavi e un’ammenda pari al 4% del fatturato annuo.
Il progetto è stato adottato dalle commissioni del Parlamento europeo il 14 febbraio 2024 e sarà votato nella prossima sessione plenaria del Parlamento europeo, costituendo la posizione del Parlamento in prima lettura.